e Vienna: l'aereo portava un pacco postale destinato a Israele che avrebbe potuto significare la loro condanna a morte. Sono convinto che questi sviluppi aprano una fase nuova nella storia della guerra.
Come ho cercato di mostrare, la fase iniziale del conflitto nacque con la prima ondata di immigrazione sionista nel paese. Piccole risse senza importanza scoppiarono allora tra gli ebrei e i loro vicini arabi. Le armi erano bastoni e coltelli. Il carattere nazionale dello scontro rimaneva implicito: non si trattava che di pastori arabi che lasciavano pascolare le loro greggi nei campi ebraici, o di fittavoli arabi che si rifiutavano di evacuare la loro terra, venduta ai Fondi ebraici dal proprietario arabo assenteista, o anche di banditi del luogo che miravano ad impossessarsi dei beni di valore degli ebrei.
La seconda fase cominciò con la dichiarazione Balfour, e con essa il rancore palestinese assunse per la prima volta contenuti nazionali. Esso esplose in numerosi episodi di ribellione armata - che inglesi ed ebrei etichettavano come « disordini » - i quali si ripetevano ogni pochi anni, in corrispondenza con ogni nuova ondata di immigrazione ebraica. Durante questo periodo emerse come capo supremo della nazione palestinese il Muftì di Gerusalemme, Haj Amin El-Husseini: senza dubbio un autentico patriota, ma uomo di concezioni ristrette, fanatico, politicamente miope e piuttosto inefficiente. La ribellione conclusiva degli anni 1936-39 fu schiacciata militarmente, e da questo colpo i palestinesi non dovevano più riprendersi.
Fu questa la fase dei fucili e delle pistole nascosti, delle piccole incursioni e di alcuni massacri nelle città. Si trovarono di fronte da una parte il popolo palestinese, disorganizzato e privo di organi collettivi efficienti (ma costituente la maggioranza della popolazione del paese) e dall'altra Yjishuv ebraico, assai più