La quinta fase è contrassegnata dall'internazionalizzazione della guerra, con gli attentati dinamitardi a danno di aerei di nazioni non impegnate nel conflitto e con l'allargarsi dell'attività dei jeda'iyyln all'intera Europa e agli altri continenti. Oggi nel mondo chiunque ha qualche possibilità di morire in un conflitto che non lo riguarda, per una causa di cui magari non sa nulla. Uno che passi accanto ad un ufficio E1 Al in Grecia, un passeggero che viaggi da New York a Parigi su un aereo di linea che porta un pacco postale destinato a Israele: tutti possono aspettarsi di venire coinvolti.
E appena al di là dell'orizzonte si profila la sesta fase, e cioè la prospettiva terrificante dell'ultima possibile escalation di questa guerra; un conflitto mondiale generato dallo scontro palestinese. Certamente nessuna persona sana di mente vuole ciò. La sola idea di un tale sviluppo fa correre brividi lungo la schiena degli statisti di Washington e di Mosca. E tuttavia costoro debbono assolutamente rendersi conto che quest'ulteriore escalation potrebbe avviarsi in modo del tutto accidentale, attraverso avvenimenti che sono fuori del loro controllo. Un intervento circoscritto può essere indotto a varcare i suoi limiti di partenza.
Il conflitto israeliano-palestinese assomiglia ad un gorgo che trascina nell'abisso una parte sempre più ampia dell'umanità. Esso è un cancro che dal luogo della infezione originaria - la piccola Palestina - si sta espandendo all'organismo del mondo intero. L'eliminazione di questo cancro diventa così una preoccupazione fondamentale di tutti.
E tuttavia la comunità internazionale è impotente.
Il conflitto mediorientale è responsabile, più di ogni altro problema, del tracollo delle Nazioni Unite, di cui ha rivelato la natura di guscio vuoto, esattamente come una generazione prima la guerra manciù-